Il travel che?
Da che ho memoria, ho sempre amato viaggiare. Sin da piccola, che si trattasse di una vacanza in roulotte in Jugoslavia o di una gita in montagna, ero sempre felice di prendere e andare. I ricordi d’infanzia più felici che possiedo provengono da quei primi viaggi in famiglia.
Viaggiare mi è sempre risultato naturale. Mi adatto facilmente e, ovunque vada, non impiego molto a sentirmi a casa. Sembro anche incapace di fermarmi definitivamente in un posto. Me ne sono spesso chiesta il perché. Ci sono perfino state volte in cui questo mi ha fatto sentire un po’ in colpa. Cosa mi spinge a viaggiare, a continuare a spostarmi? Perché non riesco a fermarmi in un posto, come fa la maggior parte della persone?
Guardando indietro, ora lo capisco. Vedo come la mia curiosità, la mia incessante ricerca di ciò che è nuovo e sconosciuto, la mia inclinazione ad esplorare abbiano – nel corso degli anni – permeato e guidato ogni mia scelta. Il viaggio per me non è un hobby. Non è nemmeno una fuga. Viaggio perché viaggiare mi arricchisce e mi fa sentire viva. Il viaggio soddisfa la mia sete di scoperta, la mia fame di storie, la mia inclinazione all’avventura.
Di recente, ho finalmente realizzato che questa voglia di viaggio c’è sempre stata e – molto probabilmente – continuerà ad esserci. Non riesco a combatterla. E nemmeno dovrei. La verità è che non posso fare a meno di viaggiare, ce l’ho nel sangue.
Curiosamente, potrei letteralmente avere il viaggio nel sangue. Più precisamente, nel DNA. In questo libro pubblicato dalla Princeton University Press, lo storico ed economista Deepak Lal scrive [traduzione e grassetto sono miei]:
Esistono crescenti testimonianze che provano come i tratti comportamentali che predispongono alcuni di noi a comportamenti rischiosi e di ricerca della novità abbiano una base genetica. Un libro recente, American Mania, scritto da un collega, Peter Whybrow, direttore dell’Istituto di Neuropsichiatria dell’UCLA, riassume queste testimonianze. Whybrow comincia con il notare come la migrazione umana sia una delle principali forme di comportamento rischioso e di ricerca della novità. Solo alcuni della nostra specie lasciarono la loro ancestrale dimora nelle savane africane e cominciarono quel lungo cammino ai confini della Terra che permise all’homo sapiens di colonizzare il mondo. Chi erano questi primissimi migranti? Si è scoperto che avevano un profilo genetico particolare. Avevano una percentuale più alta di un gene esplorativo e di ricerca della novità rispetto a coloro che erano rimasti indietro.
Il gene del viaggio. Mi piace. Certo tale teoria di una predisposizione genetica al viaggio e all’esplorazione aiuterebbe a spiegare come – anche al giorno d’oggi, persino all’interno della stessa famiglia – ci siano persone perfettamente felici di trascorrere la propria vita nello stesso posto, mentre altre invece siano spinte a spostarsi, a scoprire cosa c’è al di là. In parte, potrebbe spiegare la mia passione per il viaggio, il mio spirito nomade, e quella sorta di smania che mi prende quando un posto comincia a diventare troppo familiare.
Non si può combattere la propria natura. E la mia mi dice di andare.